domenica 15 marzo 2015

Il sospetto, il sospettoso e il sospettato.

Il sospetto è considerato come una delle manifestazioni preponderanti nei disturbi di personalità, in modo particolare in quella paranoide.
Ma più che soffermarmi sui disagi e su coloro che nutrono sempre continui dubbi nei confronti di chi li circonda e sulla diffidenza che ne deriva, insieme con rabbia e rancore, mi soffermerei sulle "vittime" di coloro che insinuano continuamente realtà che non esistono.

Quando ci si trova davanti ad una persona che presenta un qualsivoglia disturbo, la prima reazione è quella di cercare di portare su un terreno di risoluzione il problema che attanaglia la persona stessa. E questo è il punto di partenza.
In contemporanea, però, a mio avviso, è necessario non commettere l'errore di trascurare coloro i quali rientrano nella cerchia delle più strette relazioni con il malato, in quanto, la vicinanza con esso avrà comunque sortito un effetto proprio su chi li circonda, che se trascurato potrebbe manifestare gli stessi fenomeni devastanti subìti dal malato stesso. Per cui è opportuno concentrarsi sicuramente sulla patologia del malato affinchè possa "risolverla"in qualche modo, ma non di meno supportare anche la rete di persone che hanno rapporti con il malato per salvare il salvabile quando ancora lo è.

Le vittime di coloro i quali sospettano, ossia "i sospettati", si vedono spesso attribuire pensieri che non appartengono loro, azioni e omissioni che neanche balenavano nell'anticamera del loro cervello, costretti a "giustificare" spesso un loro atteggiamento che il "sospettoso" ha su di loro loro proiettato, vomitando su di loro non solo accuse senza alcun reale fondamento ma anche le proprie frustrazioni, insicurezze, l'insopportabile pensiero di non essere al centro dell'attenzione come si vorrebbe ma sospettando di essere presi in giro e di mira dal loro sospettato.

Molto spesso le vittime sono legate da sentimenti di affetto nei confronti del malato per cui è facile che cadano in meccanismi che le facciano trovare imbrigliate senza essere consapevoli di come il tutto sia avvenuto. Esse vivono in uno stato di perenne allerta, spesso spiate, violate nella più intima privacy e prese di mira, controllate a vista, quasi si aspettasse da loro un passo falso per poi essere messe alla gogna proprio da chi elabora delle fantasie distruttive su di loro.

Il sospetto cronico, non legato ad oggettiva realtà, ma frutto delle proprie deviate fantasie mentali, è una vera e propria malattia. Questa può a lungo andare creare stati depressivi e di immobilità in coloro che subiscono le "indagini" del malato o crearne una dipendenza emotiva generando sensi di colpa su colpe del tutto fittizie ed inesistenti o ancora generando, nel migliore dei casi, l'allontanamento della persona con tale disturbo.

La sofferenza di coloro i quali insinuano il male e la malizia in ogni azione del malcapitato sotto l'aura della loro malattia è immensa e devastante. Ancor di più per chi si mobilita, una volta riconosciuta la patologia dell'atteggiamento, per cercare una via di aiuto. Una domanda ricorrente che si fa l'accusato è:"Ma cosa faccio per scaturire questo sospetto?""Cosa posso fare per rassicurare il sospettoso?" e più si cerca di rasserenare e convincere il "sospettoso" che nulla è stato fatto contro di lui deliberatamente e con maggiore intensità cresce il grado di diffidenza dello stesso.

E maggiormente la vittima si mostra coinvolta, dispiaciuta, arrabbiata nei confronti delle accuse che le sono state rivolte e della mancanza di fiducia nei propri confronti così proporzionalmente si alimenta il dubbio, il sospetto, la diffidenza e la malizia del malato.

Ogni stato emotivo (fastidio per le accuse ricevute o tristezza per la sfiducia riposta. ecc.) che si fa trapelare da una parola, da un gesto o da un atteggiamento  a chi soffre di questo disturbo viene vissuto come un campanello d'allarme dallo stesso che usa questi stati emotivi a supporto delle proprie tesi conferendo veridicità alle proprie fantasie ( ad esempio potrebbe pensare:"se si arrabbia così vuol dire che ha la coda di paglia") e, l'emotività stessa, rappresenta il filo invisibile, talvolta la catena che tiene uniti vittima e carnefice.

Un'altra tendenza della vittima è quella di mentire per evitare scontri, dire al malato quello che vuole sentirsi dire, senza successo di risoluzione alcuna anche perchè chi soffre del disturbo paranoide di personalità ha sviluppato una particolare sensibilità nel cogliere la veridicità e l'autenticità delle parole delle espressioni, delle cose dette dalla vittima stessa, essendo ossessionato dalla ricerca di dettagli e particolari a sostegno delle proprie tesi paranoidi e quindi attento ad ogni minimo segnale.

L'indifferenza sembrerebbe essere un buon antidoto per scoraggiare la pretesa del sospettoso di aver ragione, di trovarsi davanti una persona di cui non ci si può fidare, di vedere un secondo fine in tutto ciò che la vittima fa o dice o addirittura non dice.

Per cui, se ci so trova in relazioni affettive di qualsivoglia grado o parentela è bene adottare piccoli trucchi per non alimentare le paranoie del malato, non per uno spirito da "crocerossina" o per inseguire la massima dell'"io ti salverò", perchè spesso accade che solo farmaci e psicoterapie riescano a scardinare le deviate strutture mentali su cui si appoggia questa malattia, ma per vivere serenamente e convivere con una persona che presenta tali problematiche.

Ecco alcuni consigli pratici:
1) Rispondere sempre con un sì o un no alle accuse senza perdersi in discorsi chilometrici o giustificazioni fiume che hanno il solo effetto-domino di aggiungere sospetto a sospetto. Essere chiari e ripetitivi fino allo sfinimento.
2)Non manifestare, per quanto possibile, nessun tipo di reazione emotiva ( sgomento, rabbia, aggressività, tristezza, delusione, dispiacere o paura) ma concentrarsi  sull'oggetto della discussione che trattandosi di pura "fantascienza" ha il pregio che agevolerà l' adozione di  un sano distacco dalla situazione.
3) Non mentire, mostrarsi sempre autentici e trasparenti, senza necessariamente dover rendere conto delle proprie azioni al "sospettoso" e scegliere di rimanere sul "generico" quando non si vuole condividere personali pensieri o azioni. Rispondere con frasi fatte che non lascino spazio a giudizi od opinioni definite.
4) Ricordarsi di delimitare gli spazi di confine su quello che la persona può o non può dire su di voi. Se non si vuole mettere su di un piatto d'argento il proprio vissuto emotivo, sociale, mentale è necessario non lasciare nessuno spiraglio o appiglio al malato per tutelare il proprio mondo interiore e salvaguardare il proprio spazio intimo.
5) Chiedere aiuto ad esperti, informarsi, leggere, studiare.

Naturalmente ogni caso è a sè ma i meccanismi che il paranoico mette in atto sono comuni a chi soffre di questo disturbo e saper prendere le distanze è un ottimo modo per non lasciarsi trascinare in meccanismi psicologici in cui è così semplice essere travolti tanto quanto difficile uscirne una volta catturati.



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