mercoledì 24 giugno 2015

I genitori non hanno pezzi di ricambio ed i figli non sono pezzi assemblati.

Avere due bambini piccoli significa farsi una cultura cinematografica di film di animazione che manco il miglior esperto cinefilo può immaginare nelle fantasie più utopistiche! E così vedi e rivedi, schiaccia e rischiaccia il tasto "play" che alla fine oltre che imparare a memoria tutte le battute dei personaggi preferiti dai tuoi bimbi, catapultata in una dimensione "altra" fino ad avere allucinazioni notturne di Toy o di Maleficent ti sovvengono delle riflessioni che forse forse tutto hanno fuorchè elementi allucinatori.

Vedevo Rio, il cartone ambientato nella foresta amazzonica i cui protagonisti sono due adorabili uccelli blu in via d'estinzione e la loro dolcissima storia d'amore.

L'uno cresciuto in cattività, in gabbia a contatto con gli esseri umani, l'altro invece in piena libertà, alla  maniera selvaggia, così come si confà alla sua natura.

E pensavo che in fondo anche noi esseri umani, avendo uno spirito adattivo molto sviluppato, se ci fanno nascere in un ambiente che poi in fondo non è il nostro naturale ci adattiamo, ci adeguiamo, riusciamo a trovare mille risorse che possano rispondere ai nostri bisogni più reconditi e più atavici.

 Basti pensare a Mowgli del Libro della giungla, che in fondo non è che la rivisitazione del buon vecchio Tarzan. Questi sono solo frutto di fantasie ma si ricordi ad esempio la storia uscita nell’aprile del 1988 in cui la stampa italiana riportava il caso di Werner, un bambino di quattro anni allevato a Düsseldorf da un cane, ragion per cui annusa, mugola e mangia come tale. Lo stesso faceva il bambino delle colline trevigiane, lasciato solo per lunghi periodi.. Molti altri casi sono stati annoverati nel libro di L. Manson (I ragazzi selvaggi, Milano 1971) e dalla stampa in riferimento alla Romania e all’Estonia; qui nel 2011 la polizia prese in custodia quattro bambini che i genitori alcolizzati avevano cresciuto insieme ai loro quadrupedi. Come Tarzan, altri bambini sono stati allevati dalle scimmie, seppur con risultati molto meno felici per il loro sviluppo mentale e fisico. Un documentario della RAI fu girato nel 1984 su Baby Hospital, la bambina della Sierra Leone allevata da una tribù di scimpanzé, ricoverata poi in un ospedale. Quando l’hanno trovata, Baby Hospital aveva i capelli lunghi, non sapeva parlare ma solo emettere gridolini, né camminare eretta. Venne rinchiusa in una stanza, come un animale ridotto in cattività. Ha poi imparato a nutrirsi, ma non sa né sorridere, né usare le mani. Altri casi sono stati raccolti da Anna Ludovico, secondo la quale sono circa cinquanta quelli studiati fino ad ora di bambini che hanno vissuto in ambiente selvaggio. ( cit. http://www.larondine.fi/cultura/un-secolo-di-tarzan.html)

Cade così la teoria dimostrativa che se i bambini sono abituati a vivere in un ambiente in cui ci sono due mamme e due papà non sentiranno mai la mancanza dell'una o dell'altra figura. Non la sentiranno non perchè una mamma ed un papà possono essere sostituiti a dovere ma semplicemente perchè in fondo il ruolo è stato sostituito deliberatamente da due adulti da un altro prototipo scelto apposta per loro, in cattività. Cade perchè se ai bambini neghi la possibilità di conoscere il proprio papà o la propria mamma il sentimento di mancanza è viziato dalla negazione di una realtà sostituita da un'altra offerta che è l'unica che i bambini figli di coppie dello stesso sesso conosceranno. E' una teoria che non sta in piedi, se al bimbo non fai mangiare mai la cioccolata è ovvio che non te la chiederà mai, non conoscendola.

Il dibattito sulla genitorialità come diritto degli adulti è  molto acceso in Italia e l'impressione che mi sono fatta è quella che si parla di diritti di tutti eccetto dei diritti dei bambini. Io sono dell'idea che i genitori non abbiano pezzi di ricambio e che tutti i riempitivi possibili, le sostituzioni possibili non potranno mai rimpiazzare quello che la natura ha riservato per tutti, ossia nascere da una mamma e da un papà.

Sono dell'idea che l'amore non è solo sentimento ma anche impegno, progetto di vita, sacrificio, rinuncia, per la felicità dell'altro anche quando significa rinunciare ai propri diritti per far spazio ai diritti dei più deboli. E non vi è nessuno di più debole di un bambino nel grembo materno che non ha voce. Io non mi opporrò mai a due persone che si amano a meno che queste due persone non chiedano al bimbo che concepiscono non per natura ma comprandolo o affittando un utero di una donna o concependolo nella fredda provetta di un laboratorio chimico, di rinunciare ad una mamma o ad un papà o peggio ancora ad essere selezionati in base alla loro "bontà" genetica ( ma questo merita un discorso a parte).

L'ipocrisia di questa concezione di vita in cui i figli sono un diritto sta nel non permettere che un figlio rinunci al viaggetto a Cuba, che rinunci al cellulare ultimo grido o alla migliore istruzione o allo sport dopo la scuola o...o...o... ma si permette  che questi bimbi, non già nati, ma da concepire, rinuncino al diritto naturale di avere una mamma ed un papà. Non lo trovo giusto. I genitori non hanno pezzi di ricambio. L'amore non credo sia questo.
 Questa è un'emozione di chi vuole vivere una genitorialità ad ogni costo anche se il prezzo da far pagare lo si fa pagare al bimbo che si progetta. Chi è veramente genitore è disposto anche a rinunciare a questa grande emozione per non veder monchi di una parte di cuore i propri figli. 

Sentire il bisogno di riversare su un figlio l'amore che si ha da donare non significa amare il figlio. Il figlio lo si ama quando per il suo bene, e unicamente per quello, si è disposti a mettersi da parte, a rinunciare ad un proprio diritto per far spazio al benessere totale del figlio. Il fatto che l'essere monchi  di un padre e di una madre, non si veda ad occhio nudo, come lo si può vedere l'essere monchi di un braccio o di una gamba, non significa che il figlio non soffra di una sottrazione che gli è stata fatta già nel progettarlo, già nel concepirlo. L'essenziale è invisibile agli occhi, anche quando questi occhi appartengono ai genitori che "programmano" il figlio. 

Nessuno mette in dubbio il fatto che due persone dello stesso sesso possano amare un figlio allo stesso modo se non di più di coppie da cui il figlio per natura nasce da una mamma e da un papà. 

Il punto non è questo. 

Il punto è perchè progettare di far nascere un bambino senza una mamma o senza un papà che per natura gli sono stati donati allo stesso modo come gli sono stati donati gli occhi, le braccia, le gambe, il cuore? 
Non è forse egoismo chiudere un uccello in gabbia prospettandogli una realtà che non è la sua, quand'anche questa fosse dorata, facendogli credere che quella gabbia sia tutto il suo mondo precludendogli la sua stessa natura di essere vivente nato dall'incontro di un maschile e di un femminile?

La vita è un miracolo, i figli sono un dono, e per quanto la nostra mente possa concepire il miglior mondo possibile per i nostri figli, il miglior mondo per loro lo si comincia a costruire rispettando, accogliendo, amando una vita diversa da noi, lontana mille miglia dai nostri progetti, un essere da scoprire, da accudire, da curare, ma soprattutto da considerare come persona e non un involucro in cui riversare i nostri desideri o capricci...

Il vero "diverso" da rispettare è proprio quel bambino che noi accogliamo e di cui siamo responsabili sin dal suo concepimento. Lui non ha voce, è in balìa di chi in quel momento lo stringe al cuore, tra le braccia, di quella mamma e di quel papà anch'essi partecipi di un miracolo naturale scaturito dall'amore e dal progetto di famiglia che ha permesso a quel bambino di affacciarsi alla vita. Un miracolo così grande che nessuna mente umana sarebbe in grado di progettare così alla perfezione nello stupore della scoperta che un neonato può regalarti. 

La natura un giorno ci chiederà conto del nostro intervento nei miracoli che solo lei è in grado di fare, e così come la terra si sta ribellando alle violenze che nei secoli le abbiamo imposto ci chiederà il conto, il cui prezzo, io da mamma, preferirei pagare in prima persona ma mai far scontare ai miei figli.

Nel rivedere Rio mi continuerò a chiedere: e se quell'uccello fosse nato non in una gabbia ma nella sua foresta avrebbe potuto forse essere più felice? ... Tutti hanno diritto alla felicità, ma se questa felicità mia di oggi può significare una sottrazione ai miei figli domani, e non solo in termini di affetto e di amore, ma anche in termini culturali, sociali, di tappe fondamentali di costruzione della propria identità e personalità, di bisogni personali, io a questa felicità ci rinuncio volentieri. 

I figli si accolgono, non si programmano; i genitori non hanno pezzi di ricambio ed i figli non sono pezzi assemblati. 

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