giovedì 20 settembre 2012

Il linguaggio segreto dell'ipocondria in famiglia.

Capita spesso,  nella maggior parte dei casi ciò accade nelle famiglie numerose, che ad ogni componente della famiglia venga attribuito un aggettivo, un soprannome, un epiteto che lo connoti e che lo "etichetti"...Giuliana è soprannominata "la pazza" perchè da neonata piangeva sempre e mugugnava se non era presa in braccio dai genitori; Marco è soprannominato "il ladruncolo" perchè sottrae a chiunque vede mangiare del cibo, anche al suo cane! Stefano è denominato l'"intellettuale" per la mole di libri che divora anche in vacanza. Una caratteristica, una qualità o un talento che emergono durante la crescita a seconda del peso e del valore che gli si attribuisce dagli altri componenti della famiglia, avranno un'incidenza non da poco nella vita di un bambino/futuro adulto e sulla formazione della propria autostima. Non di meno tutto questo "riconoscere" nell'altro una qualche qualità o un difetto, diventano, con il passare del tempo e delle esperienze condivise, parte di un codice di linguaggio in cui avviene la comunicazione familiare e di conseguenza sociale.
Il caso.
C. è cresciuta in una famiglia di quattro fratelli. La madre ha esercitato su di lei un controllo eccessivo in ogni ambito della sua esistenza, sin da bambina, tanto che per fuggire al disagio provocato dalla madre C. sposa a vent'anni un uomo più grande di lei con un buon lavoro, una sicurezza economica e che ostenta sicurezza e spavalderia. Il marito con il passare del tempo rivela un carattere predominante, tanto che C. matura una forma di depressione cronica che l'accompagna per circa trent'anni a cui attualmente fà fronte con una cura a base di psicofarmaci. Nella famiglia d'origine C. non ha mai avuto la possibilità di esprimersi, nè a parole nè con le azioni. La madre ed il padre hanno sempre deciso per lei, prima il collegio, poi la scuola, poi il lavoro. Non hanno mai prestato ascolto alle sue richieste, esigenze o semplici parole. L'unico modo per sentirsi "presente" per C. era nel momento dell'influenza o quando aveva una qualche malattia. Solo in quel momento le era concesso di prendersi cura di se stessa senza che nessuno pretendesse qualcosa sa lei, una qualche commissione, un aiuto in casa e via dicendo. Il momento della "malattia" risultava un modo per comunicare che lei c'era, esisteva, non era invisibile o trasparente. Dopo il matrimonio C. ha cominciato a prestare sempre più ascolto al suo corpo chiudendosi al mondo esterno. Un qualsiasi malessere sembrava essere sintomo di una malattia più grave, tanto che almeno una volta al mese si faceva portare in Pronto Soccorso, luogo in cui spesso urlava e si risentiva qualora i medici le comunicavano una diagnosi negativa. La "malattia"era diventata il suo tarlo, il suo principale argomento di conversazione tanto da farle imitare i gorgoglìì del suo stomaco o il battito del suo cuore anche in una semplice conversazione con il vicino di casa incontrato per caso. In casa non aveva voce in capitolo. Suo marito è ed era un "tuttofare"e spesso non le risparmiava di umiliarla o denigrarla anche in presenza di estranei. C. manifestava un distacco emotivo davanti ad ogni cosa, persino alla nascita del figlio, ha delegato il ruolo di madre al marito.


Alla luce di questa esperienza e ne potrei citare di simili tantissime altre, emerge che spesso nell'ipocondriaco l'attenzione eccessiva ai segnali del proprio corpo, anche a quelli che non denotano o nascondono alcuna malattia, e manifestarli agli altri sia a parole che con gesti, quali ad esempio correre spesso al Pronto Soccorso o andare sovente dal medico, nasce dall'esigenza di esprimere un vissuto, pensieri, un'essenza che in altro modo non riesce a trovare un canale di espressione. Ascoltarsi diventa un voler sostituire un ascolto non ricevuto da bambini, un voler essere riconosciuto e accudito, un bisogno di amore non soddisfatto. Sarebbe utile, qualora ci si trovasse di fronte ad una persona ipocondriaca, sapere quali sono le abitudini familiari, sapere il ruolo che ricopre in famiglia, se ha un talento ed ha avuto modo di coltivarlo, se viene ascoltata anche se non presenta malesseri fisici. Ognuno di noi si esprime attraverso codici acquisiti in famiglia, a scuola, a lavoro, e il linguaggio che utilizza per farsi ascoltare è quello che è maggiormente recepito da chi ci circonda. Per questo è molto importante ascoltare il bambino e quello che ha da dirci senza arrivare al punto che si esprima solo attraverso capricci o malesseri solo per attirare la nostra attenzione. Quella che può essere una cattiva abitudine inferta da piccoli può diventare una malattia cronica da adulti a cui si pone parzialmente rimedio solo con strumenti quali la psicoterapia o farmaci. Questa riflessione può essere uno stimolo a meditare sull'ascolto che poniamo nei confronti dei nostri figli. Se rivolgiamo loro attenzione solo se accade o fanno qualcosa di eclatante o se siamo in grado di ascoltarli anche attraverso il loro silenzio o i loro ordinari comportamenti.

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